Lesioni durante l’evento sportivo: se l’azione non viola le regole, vige il limite della prudenza
Con la Sentenza 3284 depositata il 31 gennaio 2022, la Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente sul tema delle lesioni in campo sportivo e sul c.d. rischio consentito.
L’imputato chiedeva il ricorso in Cassazione dopo essere stato dichiarato colpevole dalla Corte territoriale di Lucca e dalla Corte d’appello di Firenze per aver leso a un altro giocatore. Durante una partita di calcio a cinque, per recuperare la palla aveva colpito in scivolata l’avversario procurandogli lesioni aggravate, tra cui plurime fratture agli arti inferiori.
I giudici di merito avrebbero fatto discendere la responsabilità dell’imputato dalla intensità del danno provocato all’altro giocatore, mentre avrebbero dovuto giudicare la condotta dell’imputato nel contesto di gioco. Si afferma, infatti, che mentre una violazione volontaria che procuri un danno lieve può costituire illecito penale, una violazione involontaria che procuri un danno grave, ma sia tuttavia dettata dalla concitazione dell’azione, rientrerebbe nel c.d. rischio consentito e non dovrebbe pertanto essere soggetta a pena.
Il motivo è ritenuto fondato dalla Corte, che annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché’ il reato è estinto per prescrizione. Annulla, agli effetti civili, la medesima sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese per questo giudizio di legittimità.
Si evidenzia inoltre che l’applicazione del “rischio consentito” sia entro il perimetro fissato dalle regole della disciplina sportiva che si accetta di praticare.
Di conseguenza, a fronte di un atto lesivo rispettoso del regolamento, chi lo subisce non può dolersene, dato che aveva accettato prendendo parte alla competizione.
In definitiva, chiarisce la Cassazione, la legittimità sportiva “non copre integralmente la legittimità penale, che impone, al di là della regola il limite della prudenza, della perizia, della diligenza, cioè della regolazione dell’azione finalizzata a non nuocere”: con la conseguenza, per il giudice, di verificare se l’azione rispettosa del regolamento sportivo “sia posta in essere nei limiti della prudenza, in modo da non cagionare, per l’eccesso nella gestione del gesto atletico o per l’eccessività ed inutilità al fine sportivo del contrasto opposto, un danno prevedibile all’altrui integrità fisica”.