L’ente non commerciale rimane tale anche se svolge attività d’impresa

Le attività di natura commerciale, effettuate da un’associazione culturale in forma prevalente, se necessarie e strumentali al perseguimento degli scopi istituzionali statutariamente previsti, può mantenere la natura di ente non lucrativo. In ogni caso tali attività sono comunque, soggette a tassazione in base al regime fiscale applicato. A prevederlo è la C.T. Prov. di Venezia, con la Sentenza n. 73 del 2017.

Eutekne – 24 aprile 2017 

L’attività commerciale non preclude lo status di ente associativo

L’ente no profit può rimanere tale anche se svolge attività d’impresa

 Enrico SAVIO

Un’associazione culturale può mantenere la natura di ente non lucrativo anche se effettua attività di natura commerciale, in forma prevalente, qualora le stesse siano necessarie e strumentali al perseguimento degli scopi istituzionali statutariamente previsti. Tali attività saranno, comunque, soggette a tassazione in base al regime fiscale applicato.

A prevederlo è la C.T. Prov. di Venezia, con la sentenza n. 73 del 2017, la quale ha considerato implicitamente applicabile anche alle associazioni culturali quanto previsto dall’art. 149, comma 4 del TUIR per gli enti ecclesiastici riconosciuti e le associazioni sportive dilettantistiche (le quali non perdono la qualifica di enti non commerciali, ancorché non rispettino i limiti e i parametri indicati dai commi 1 e 2 del citato articolo).

Secondo l’art. 149, comma 1 del TUIR, “indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta”. Al successivo comma 2 vengono identificati degli “indicatori di commercialità” (prevalenza delle immobilizzazioni, dei ricavi, dei redditi e delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto a quelle istituzionali) al verificarsi dei quali sussistono forti dubbi sulla reale natura non lucrativa dell’ente associativo interessato.

Quindi, ai sensi dell’art. 149, un ente “formalmente” non lucrativo, in presenza di attività d’impresa prevalente per la maggior parte del periodo d’imposta, potrebbe perdere, salvo prova contraria a suo carico (Cass. n. 4147/2013), la qualifica di ente non commerciale a decorrere dall’inizio del medesimo periodo.

Ciò premesso, nel caso in questione un’associazione culturale operante nel settore spettacolistico si era vista recapitare un avviso di accertamento per l’anno 2009 con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva ripreso a tassazione i proventi derivanti dell’attività svolta dal sodalizio.

L’associazione si difendeva eccependo nel ricorso il mancato riconoscimento da parte dei verificatori delle attività svolte come “istituzionali”, l’irrilevanza dei prelievi e versamenti sul c/c per importi eccedenti i 516,46 euro (dovendosi considerare esclusivamente il binomio pagamenti/incassi e non i semplici girofondi cassa/banca), il mancato riconoscimento dei rimborsi spese documentati corrisposti agli associati (relativi alle trasferte per gli eventi e alle attività preparatorie degli stessi), nonché il fatto che l’associazione svolgesse attività esclusivamente verso i terzi e non verso i propri associati.
L’associazione, inoltre, forniva la prova della regolare tenuta documentale presentando lo statuto registrato contenente i dettami di cui agli artt. 148, comma 8 del TUIR e 4, comma 7 del DPR 633/72, il modello EAS, i bilanci approvati e le relative verbalizzazioni assembleari (prova dello svolgimento di una reale vita associativa attraverso la partecipazione degli iscritti alle assemblee).

Gli indici ex art. 149 comma 2 del TUIR sono meri “indizi”

Si osserva a riguardo che, non avendo l’Ufficio mosso alcun rilievo dal punto di vista degli adempimenti formali, la questione principale presa in esame e dibattuta in udienza sostanziava la natura commerciale o meno dell’attività svolta dall’associazione.

Fondamentale, a questo proposito, richiamare la C.M. n.  124/1998, secondo la quale gli indici di cui all’art. 149, comma 2 del TUIR rappresentano dei meri “indizi” da valutarsi congiuntamente ad altri “elementi significativi” (tra i quali le caratteristiche complessive dell’ente), non sufficienti a “far venir meno la qualifica non commerciale dell’ente, risultante dall’atto costitutivo o dallo statuto” soprattutto qualora “l’attività effettivamente esercitata corrisponda in modo obiettivo a quella espressamente indicata nelle previsioni statutarie”.

La C.T. Prov. di Venezia, in ogni caso, riconosceva l’associazione quale ente non commerciale legittimato all’applicazione della L. 398/91 pur avendo svolto un’esclusiva attività verso i terzi ritenendo che “un’associazione può essere senza scopo di lucro anche se effettua prestazioni commerciali, l’importante è che siano rispettati i fini istituzionali, nel caso di specie culturali, e gli obblighi previsti dal TUIR e dalla legge agevolativa, fatti propri come già rilevato dallo statuto”.
L’importante, secondo i giudici di primo grado, è l’aver assoggettato ad imposizione fiscale (IVA e imposte dirette) i proventi di tale attività statutaria verso i non associati, in tutto e per tutto considerati veri e propri “spettatori”.

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C.T.P. Venezia 19.1.2017 n. 73-1-17

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