Gli USA contro l’elusione sugli utili esteri
In un articolo di alcuni giorni fa, Federico Rampini, corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, pone rilievo sulle misure che il Congresso e la Casa Bianca intendono recepire per combattere le forme di elusione sugli utili percepiti all’estero dalle multinazionali americane.
Si ritiene opportuno approfondire questo fenomeno piuttosto recente conosciuto come “tax inversion” o “corporate inversion”, inversione fiscale. Si tratta di una delle tante strategie che le imprese americane adottano per combattere la pressione fiscale del loro paese. Gli Stati Uniti, unici tra gli stati industrializzati, con il proprio “US tax code”, tende ad imporre tasse sugli utili prodotti all’estero da società americane le quali si trovano a pagare imposte nello stato in cui si è prodotto l’utile e pagarle anche in casa propria.
In sostanza, una multinazionale americana acquisisce mediante fusione un’azienda, anche di ridotte dimensioni, con sede in un paradiso fiscale o semplicemente in uno stato estero dove vige una tassazione più vantaggiosa, avvenuta la fusione si procederà a fissare la sede legale nello stato estero dove verrà assolto l’obbligo della tassazione che risulterà decisamente inferiore rispetto a quello imposto negli Stati Uniti.
Il fatto più recente è quello dell’acquisizione da parte dell’americana Burger King della Tim Hortons, una catena canadese di caffetterie, trasferendo la propria sede legale in Canada con un notevole risparmio fiscale, poiché la tassazione negli Stati Uniti è al 35%, mentre in Canada è del 25%.
Negli Stati Uniti la “tax inversion” è considerata nei fatti un atto elusivo e non costituisce evasione fiscale purché dietro a tali operazioni non si celino attività fraudolente al fine di nascondere profitti illeciti.
Le misure che il Congresso e la Casa Bianca cercano di adottare sono mirate a porre un freno all’elusione derivata dalla inversione fiscale. Una proposta volta ad arginare questo fenomeno è stata annunciata dal senatore democratico Schumer al fine di poter eliminare tutti quegli incentivi che producono elusione e che limitano drasticamente entrate nelle casse statunitensi. Alcune norme che Schumer intende far varare avrebbero addirittura decorrenza retroattiva fino al 1994.
Analoga volontà dovrebbe essere recepita dal legislatore italiano nel mettere ordine alla tendenza di delocalizzazione praticata da diverse aziende italiane, quasi sempre, al solo scopo di risparmiare sul costo del lavoro, quest’ultima realtà pur sempre in primo piano nell’attuale normativa vigente che da anni è fonte di dibattito in Italia ed ora anche all’interno dell’Unione Europea.
Per approfondimenti:
La Repubblica 09.09.2014 – Federico Rampini [253 Kb]