Covid-19, i luoghi più rischiosi

Lo studio di Nature: ristoranti, palestre, bar e hotel risultano i luoghi più pericolosi, mentre segnali positivi provengono dalla scuola.

Lo studio USA su Nature (24+ 19 novembre 2020)

Coronavirus, contagi: dai bar ai ristoranti alle palestre, i luoghi in cui si corrono più rischi

Uno studio su Nature realizzato con i dati dei tracciamenti telefonici. La ricerca effettuata in Usa a marzo e aprile (quindi prima dell’introduzione di misure di distanziamento come avvenuto in Italia). Ristoranti, palestre, bar e hotel risultano i luoghi più pericolosi. Buone notizie invece sulla scuola

di Agnese Codignola

Si vanno facendo più chiare le modalità con le quali avviene il contagio da Sars-CoV-2, e le situazioni nelle quali si corrono più pericoli. Ed è un bene, perché solo disponendo di dati scientificamente validi si possono impostare strategie preventive razionali, e avere maggiori probabilità di successo.

Negli ultimi giorni, uno degli studi che ha destato maggiore interesse è stato pubblicato su Nature, e ha mostrato quanto, se gestiti nel modo corretto, i dati dei tracciamenti possano essere una miniera di informazioni utili.

I ricercatori dell’Università di Stanford, in California, hanno infatti analizzato le localizzazioni anonime dei cellulari di poco meno di 100 milioni di cittadini americani residenti nelle dieci principali aree urbane, per definire dove erano andati nel periodo compreso tra marzo e aprile; in particolare, hanno controllato oltre 57.000 gruppi di persone in oltre 550.000 luoghi di potenziali assembramenti quali ristoranti, palestre, chiese, concessionarie di automobili, negozi di attrezzature sportive, hotel e motel.

Quindi hanno sovrapposto questi dati e quelli epidemiologici relativi ai focolai grandi e piccoli, e hanno trovato che, come atteso, tutte le volte che si radunano più persone il rischio aumenta. I locali peggiori sono i ristoranti, seguiti da palestre, bar, hotel e motel. (E’ evidente che lo studio si riferisce agli Usa, a quel periodo e alle misure di distanziamento allora adottate in quel paese, ndr)

Il programma ha permesso poi di fare simulazioni assai interessanti: per esempio, se a Chicago i ristoranti fossero rimasti tutti aperti (nella realtà hanno subito un lockdown), in maggio ci sarebbero stati 600.000 contagi in più. Se lo avessero fatto le palestre ce ne sarebbero stati 149.000 in più, e viceversa: se le chiusure fossero state di entità maggiore di quanto non sia avvenuto, i casi sarebbero stati meno. I ristoranti, purtroppo, si confermano luoghi dove, soprattutto quando non si adottano misure molto stringenti, il virus corre.

I rischi della vita in comunità

Negli stessi giorni è poi uscito, sul New England Journal of Medicine, un altro studio illuminante su quanto la vita in comunità rappresenti sempre un rischio. Osservatorio del tutto particolare è stato un campus per reclute dei marines, dove oltre 2.000 ragazzi sono stati sottoposti a tre tamponi (il primo nel giorno successivo all’arrivo, il secondo una settimana dopo e il terzo due settimane dopo) e a una quarantena nella quale erano stati invitati a mantenere il distanziamento in ogni attività, a usare le mascherine, a misurare la temperatura e a lavarsi spesso le mani.

All’arrivo erano stati scoperti 16 positivi asintomatici, pari allo 0,9% del totale, ma dopo due settimane i positivi erano diventati 35, pari all’1,9%. Ci sono stati sei focolai, soprattutto associati al fatto di dormire insieme (anche se i ragazzi sono stati suddivisi in stanze a due) e, in secondo luogo, all’appartenenza allo stesso plotone.

La trasmissione è quindi sempre in agguato, anche tra i giovani, e anche quando viene posta attenzione. Del resto, i ricercatori della Tufts University hanno controllato 33 superfici in luoghi pubblici quali bancomat, maniglie, cestini della spazzatura, banconi di uffici postali, e trovato Rna di Sars-CoV2 nell’8% dei campioni: il virus è quindi diffuso anche nell’ambiente. Hanno poi notato – si legge su MedRXiv – che quando le concentrazioni erano più alte, nella comunità che abitava nelle vicinanze emergevano dei cluster, probabilmente perché qualcuno aveva incautamente toccato una superficie contaminata e si era infettato, trasportando l’infezione tra i suoi contatti.

Segnali positivi dalla scuola.

Un altro tipo di comunità è poi naturalmente quella scolastica dalla quale, però, giungono segnali abbastanza positivi. Secondo un articolo pubblicato su Nature, nel quale si fa il punto sulla situazione in aree molto diverse, dall’Australia agli Stati Uniti, nelle settimane della riapertura (in settembre), da nessun Paese sono giunti segnali negativi, anzi. Soprattutto quando, come in Italia (espressamente citata, con le sue 65.000 scuole), sono state prese opportune precauzioni, i focolai estesi sono stati una rarità, e i tassi di contagi tra docenti e ragazzi non sono risultati essere molto diversi da quelli della popolazione generale.

Esistono poi esempi virtuosi, da imitare, come quello del grande campus dell’Università dell’Illinois di Urbana-Campaign, dove è stato impostato un programma di test a tappeto, da mantenere fino a quando la pandemia non sarà passata. Fino dalla riapertura tutti, studenti, docenti e personale, si sono dovuti e si devono sottoporre a un test rapido salivare 2-3 volte alla settimana, per un totale di circa 10.000 test al giorno.

POLMONITE

Come riferito su Chemical & Engineering News a fine ottobre, quando il sistema era stato ormai totalmente implementato, ed erano già stati effettuati oltre 600.000 esami, l’incidenza delle infezioni era scesa allo 0,47% del totale: un valore invidiabile, e lontanissimo da quelli della popolazione generale statunitense e non solo (Milano, al momento, è attorno al 3,5%, l’Italia all’1,8%).

Il che dimostra che prevenire si può, più che con i banchi a rotelle, con i test diffusi e regolari. E che questo permette di tenere le scuole aperte. E adesso anche l’Università di Milano-Bicocca ha scelto questa opzione, offrendo alla sua comunità la possibilità di sottoporsi al tampone rapido, in caso di necessità.

Per approfondire: Nature (19 novembre 2020)

 

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